Dettaglio Legge Regionale
Titolo | Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024. |
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Regione | Toscana |
Estremi | Legge n. 16 del 14-03-2025 |
Bur | n. 18 del 17-03-2025 |
Settore | Politiche socio sanitarie e culturali |
Delibera C.d.M. | 09-05-2025 / Impugnata |
La legge della Regione Toscana 14 marzo 2025, n. 16, recante “Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024”, presenta plurimi profili di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. relativo alla competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale», dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, nonché dell’art. 117, terzo comma, Cost. concernente la fissazione dei principi fondamentali nelle materie della “tutela della salute” e della “ricerca scientifica e tecnologica”. Nel dettaglio la legge regionale in nove articoli definisce i presupposti, i ruoli, le modalità esecutive, i tempi e le condizioni per l’accesso di un individuo ad una morte volontaria. Le norme sono precedute da un preambolo nel quale – oltre a richiamare il solo comma terzo dell’articolo 117 Cost, nonché la legge statale n. 219/2017, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” – sono richiamate le sentenze della Corte Costituzionale alle quali si riferisce il titolo della legge, concernenti la fattispecie disciplinata dall’intervento normativo regionale: la sentenza 242/2019, immediatamente eseguibile, che ha individuato una circoscritta area in cui l’incriminazione per l’aiuto al suicidio, ex art. 580 c.p., non è conforme alla Costituzione, richiamando le condizioni nelle quali deve trovarsi l’aspirante suicida; la sentenza 135/2024 che ha evidenziato che non può esservi distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui lo stesso può pretendere l’interruzione, e quella del paziente che, per sopravvivere, necessiti, dietro valutazione medica, dell’attivazione di simili trattamenti, che il medesimo può rifiutare. Si rileva, inoltre, nel medesimo preambolo, che nella citata sentenza 242/2019 i giudici hanno ritenuto che la verifica delle condizioni che legittimano l’aiuto al suicidio debbano essere affidate, in attesa dell’intervento legislativo, a strutture pubbliche del SSN e che a tal fine debba essere acquisito il parere del comitato etico territorialmente competente (considerato n. 5). Con la legge in esame, inoltre, la Regione, detta norme a carattere organizzativo e procedurale per disciplinare l’esercizio non solo delle funzioni affidate dalla Corte medesima alle aziende sanitarie, ma anche di prestazioni ulteriori, definendo tempi e modalità inerenti alla procedura in questione (considerato n. 7), assumendo che si tratti di una disciplina cedevole rispetto ad una successiva legge statale che intervenga a regolare la materia fissandone i principi fondamentali (considerato n. 8). Nel dettaglio, la normativa regionale ha il seguente contenuto. L’articolo 1, recante le finalità della legge, dispone che la Regione Toscana stabilisce l’organizzazione necessaria per l’applicazione delle statuizioni rese dalla Corte costituzionale sul tema del suicidio medicalmente assistito. L’articolo 2 individua i requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, mediante generale rinvio alle sentenze n. 242/2019 e n. 135/2014 della Consulta. L’articolo 3 prevede l’istituzione presso ogni ASL di una Commissione multidisciplinare permanente (composta dalle seguenti figure professionali: medico palliativista, medico psichiatra, medico anestesista, psicologo, medico legale, infermiere e un medico specialista per la patologia del richiedente) per la verifica della sussistenza dei requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito dei richiedenti e la definizione delle modalità di attuazione, prevedendo altresì che l’attività dei componenti di tale commissione venga svolta su base volontaria e in orario di lavoro e non comporta la corresponsione di alcuna indennità di carica o di presenza. L’articolo 4 disciplina le modalità di “accesso al suicidio medicalmente assistito”, prevedendo che la persona (o un suo delegato) presenti un’istanza alla ASL, corredata da documentazione sanitaria, per l’accertamento dei requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito nonché per l’approvazione o definizione delle relative modalità di attuazione. L’istanza viene trasmessa alla Commissione e al Comitato per l’etica clinica operante presso la stessa ASL ai sensi dell’articolo 99 della L.R. Toscana n. 40/2005, non disciplinati da norme quadro nazionali. L’articolo 5 disciplina il procedimento di verifica dei requisiti, che prevede in sintesi che: ? la procedura debba concludersi entro 20 giorni dal ricevimento dell’istanza, salvo sospensione per non più di 5 giorni per l’esecuzione di accertamenti clinico-diagnostici; ? il richiedente debba essere informato riguardo al percorso di cure palliative cui può accedere, sul diritto a rifiutare trattamenti sanitari e ad accedere alla sedazione profonda continua; ? ove il medesimo confermi la volontà di accedere al suicidio medicalmente assistito, la commissione procede alla verifica dei requisiti, anche tramite accertamenti e ascolto personale; ? deve essere acquisito il parere del Comitato per l’etica clinica sugli aspetti etici del caso, da rendere entro 7 giorni dal ricevimento della documentazione; ? la commissione redige una relazione finale attestante gli esiti dell’accertamento dei requisiti, i quali vengono comunicati dall’ASL al richiedente. L'articolo 6 concerne l’introduzione di un atipico obbligo sanitario e le concrete modalità di attuazione del suicidio medicalmente assistito, prevedendo che il richiedente possa proporre un protocollo, già elaborato con il suo medico di fiducia, o concordarne uno con la commissione, e che il protocollo debba garantire la presenza del medico, la dignità del paziente e l’assenza di sofferenze. Anche per questi aspetti, viene previsto che debba essere acquisito il parere del Comitato per l’etica clinica sugli aspetti etici del caso, da rendere entro 5 giorni dal ricevimento della documentazione, e che la commissione rediga una relazione finale sugli esiti dell’approvazione del protocollo, i quali vengono comunicati dall’ASL al richiedente L’articolo 7 disciplina il supporto tecnico e farmacologico che deve essere assicurato dall’ASL e l’assistenza all’autosomministrazione del farmaco, da rendersi con personale volontario. Viene previsto che le prestazioni e i trattamenti siano garantite come livelli assistenziali superiori rispetto ai livelli essenziali di assistenza, cui far fronte con risorse proprie della Regione, che il richiedente possa sospendere o annullare l’erogazione del trattamento in qualsiasi momento, e che i procedimenti disciplinati dalla legge regionale siano conformati dalle ASL alla disciplina statale. L'articolo 8 prevede la gratuità del percorso assistenziale per il suicidio medicalmente assistito. L'articolo 9 stanzia 10.000 euro annui, per gli anni 2025, 2026 e 2027, a carico del programma regionale per la disabilità. Per gli anni successivi, è previsto che si provveda con legge di bilancio. *** Tutto ciò premesso, la legge regionale in esame presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale, per i motivi di seguito esposti. Occorre preliminarmente soffermarsi sul contenuto delle sentenze di cui la Regione asserisce di dettare, con la legge in esame, le modalità organizzative per l’attuazione. Con la sentenza n. 242 del 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”. Altresì, la sentenza n. 242/2019 non ha solo tracciato un circoscritto ed eccezionale perimetro in cui l’aiuto al suicidio potrebbe non essere sanzionabile con la reclusione, che rimane, in generale, sempre penalmente (cfr. artt. 579 – 580 cod. pen.) e civilmente (cfr. art. 5 cod. civ.) illecito, ma ha anche espressamente precisato che “la declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici” (cfr. par. 6, sent. 242/2019 cit). Con la sentenza n. 135 del 2024, inoltre, la Corte ha ribadito “la necessità del puntuale rispetto delle condizioni procedurali stabilite dalla sentenza n. 242 del 2019”, segnatamente specificando che “non può (…) ritenersi irragionevole la limitazione della liceità dell’aiuto al suicidio ai soli pazienti che abbiano già la possibilità, in forza del diritto costituzionale, di porre fine alla loro esistenza rifiutando i trattamenti di sostegno vitale”. E, parimenti, la Corte ha ritenuto di confermare “lo stringente appello, già contenuto nella sentenza n. 242 del 2019 (punto 2.4. del Considerato in diritto), affinché, sull’intero territorio nazionale, sia garantito a tutti i pazienti, inclusi quelli che si trovano nelle condizioni per essere ammessi alla procedura di suicidio assistito, una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38 del 2010”. La Regione Toscana, con la legge in esame, titolata “Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024”, ha ritenuto di dettare, per come si legge nel preambolo, le “norme a carattere organizzativo e procedurale per disciplinare in modo uniforme sul proprio territorio l’esercizio delle funzioni che la giurisprudenza costituzionale attribuisce alle aziende sanitarie nella materia di cui trattasi”. *** Come è noto, tra le materie di competenza regionale concorrente vi sono la “tutela della salute” e la “ricerca scientifica e tecnologica” ex articolo 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., ai sensi del quale spetta allo Stato “la determinazione dei principi fondamentali”, e, al contempo, tra le materie di esclusiva competenza dello Stato vi è l’“ordinamento civile e penale” (articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost.). Inoltre, è di competenza esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost.). In questo contesto, prima di affrontare singoli aspetti della legge regionale in esame, occorre valutare a quale delle materie indicate sia effettivamente riconducibile una disciplina del “suicidio medicalmente assistito”, per come è espressamente qualificato l’intervento nella legge regionale in esame. Al riguardo non si può dubitare del fatto che la disciplina del “suicidio medicalmente assistito” – o, se si vuole utilizzare un’altra terminologia, dell’accesso di un individuo ad una morte volontaria – rientri nella materia “ordinamento civile e penale”. Ciò in quanto si incide su diritti personalissimi, tra i quali quello alla vita, precondizione di tutti i diritti, e all’integrità, ai quali l’ordinamento riconosce massima tutela, anche contro la volontà del titolare, tanto da prevedere un reato per chi provoca la morte di un soggetto consenziente (art. 579 c.p.), ma anche per chi si limita a rafforzare l’altrui intenzione suicidaria o ad agevolare l’esecuzione dell’atto (art. 580 c.p.). In concreto, la disciplina dei presupposti e delle modalità esecutive in presenza delle quali viene scriminato l’aiuto al suicidio crea un istituto giuridico che, per un verso, innova il diritto civile e, per altro verso, trova applicazione diretta nell’ambito del diritto penale. La disciplina dell’istituto giudico in questione, quindi, non può che essere dettata da una legge statale. In ragione del riparto di competenze delineato a livello costituzionale, è inibito, dunque, al legislatore regionale intervenire in una materia che tocca aspetti di estrema delicatezza quali la responsabilità penale (artt. 579 e 580 c.p.), il dovere di tutela della vita umana, i principi di autodeterminazione, tutela del consenso e rifiuto dei trattamenti sanitari, desumibili dagli artt. 2, 13 e 32 Cost. e 5 cod. civ.. Tutti gli argomenti incisi e i principi sottesi alla tematica de qua sono, pertanto, anzitutto riconducibili alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di “ordinamento civile e penale” ex art. 117, secondo comma, lett. l). E’, quindi, evidente l‘esigenza di uniformità e omogeneità di disciplina sull’intero territorio nazionale che solo l’intervento del legislatore statale può assicurare. E, infatti, solo a quest’ultimo è dato bilanciare interessi costituzionalmente rilevanti, ma contrapposti, quali, da un lato, la possibilità di rifiuto di trattamenti sanitari e, dall’altro, il fondamentale dovere costituzionale di tutela della vita umana, muovendosi nel perimetro tracciato dalla giurisprudenza costituzionale in materia. Né potrebbero essere addotti, in senso contrario, argomenti che assegnino alle Regioni un ruolo “supplente” rispetto al legislatore statale, nelle more delle decisioni da esso assunte. Al riguardo, appare utile richiamare quanto la Corte costituzionale ha statuito con la sentenza n. 262 del 2016, nella parte in cui ha dichiarato illegittima una legge del Friuli-Venezia Giulia che, per “rimediare” all’asserita inerzia del legislatore statale, aveva introdotto una disciplina regionale in tema di disposizioni anticipate di trattamento sanitario. In particolare, la Corte ha ricordato che, “data la sua incidenza su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona, una normativa in tema di disposizioni di volontà relative ai trattamenti sanitari nella fase terminale della vita - al pari di quella che regola la donazione di organi e tessuti - necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza, ratio ultima della riserva allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento civile»”. In quell’occasione, la Corte ha affermato che l’assenza di una specifica legislazione nazionale “non vale a giustificare in alcun modo l'interferenza della legislazione regionale in una materia affidata in via esclusiva alla competenza dello Stato”. Principi identici non possono non valere anche nel caso di specie. Con la sentenza n. 5 del 2018, la Corte costituzionale ha inoltre rilevato “che il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica (sentenze n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002) deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale”. In ordine alla possibile riconducibilità dell’intervento alla materia della “tutela della salute”, che risulterebbe derivare dalla menzione, nel preambolo della legge regionale, del solo terzo comma dell’articolo 117 Cost., va considerato: ? che l’ordinamento (in sede sia civile, sia penale) si è fatto carico, ma soltanto con pronunce giurisprudenziali, anche della Corte costituzionale, di mandare esenti da responsabilità penale i terzi che supportano una persona nel darsi una morte volontaria esclusivamente in relazione a soggetti che siano affetti da gravi patologie irreversibili e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche assolutamente intollerabili; ? che le stesse pronunce giurisprudenziali (e segnatamente quelle della Corte costituzionale, peraltro volte esclusivamente ad individuare una causa di giustificazione penale) hanno previsto che l’aiuto al suicidio “lecito”, non sanzionabile penalmente, sia sempre “medicalmente” accertato. Alla luce di ciò, non può ammettersi che la regolamentazione dei casi in cui l’ausilio al suicidio risulti scriminato dall’ordinamento possa attenere propriamente alla materia “tutela della salute”, come declinata dall’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la grave compromissione della salute è solo un antefatto concreto che scrimina (per come l’ordinamento si è ad oggi stabilizzato in sede di giurisprudenza e di pronunce della Corte costituzionale) comportamenti altrimenti penalmente sanzionati; e la verificazione medica dei presupposti per l'accesso al suicido assistito è solo la modalità accertativa dei presupposti ritenuta imprescindibile. Di conseguenza, nell’ambito della materia “tutela della salute” non potrebbe in alcun modo rientrare la disciplina delle condizioni sostanziali e procedurali che scriminano l’aiuto al suicidio di un terzo, né, a ben vedere, potrebbe rientrarvi la disciplina delle modalità di verifica della sussistenza dei presupposti che legittimano l’atto, anche ove quei presupposti fossero di carattere medico/sanitario. In ogni caso, anche qualora - per mera ipotesi - si ritenesse che alcuni aspetti relativi all’esimente da responsabilità penale per aiuto al suicidio di terzi attengano alla “tutela della salute”, di certo resterebbe il fatto che, in questo caso, la previsione per cui la Costituzione vuole che la “determinazione dei principi fondamentali” sia “riservata alla legislazione dello Stato” avrebbe un peso vincolante assai più pregnante. Deve, quindi, ribadirsi l’esistenza di una riserva di competenza dello Stato che sarebbe tale da precludere la possibilità per la Regione di intervenire prescindendo dalla preventiva previsione di quei principi fondamentali, sia perché i principi fondamentali sarebbero conseguenti all’assetto che nell’“ordinamento civile e penale” si è ritenuto di dare all’istituto, ma anche perché altrimenti l’esito, in relazione all’operare concreto dell’istituto, sarebbe di un istituto giuridico riconosciuto in maniera difforme sul territorio nazionale. Soluzione non tollerabile rispetto all’attuazione di diritti fondamentali, come affermato della Corte costituzionale (sent. n. 262 del 2016). In sostanza, la giurisprudenza costituzionale esclude ogni attività legislativa regionale “suppletiva” o “sostitutiva” in assenza di principi fondamentali posti a livello statale. Con la conseguenza che la legge regionale che intervenga in tale situazione è illegittima perché invasiva di una riserva statale relativa alla fissazione dei principi fondamentali (Corte cost., sent. n. 438 del 2008). Invero, per quanto la Corte costituzionale abbia auspicato che la materia del fine vita sia oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, appare evidente che Essa non possa che riferirsi al legislatore statale, perché l’incidenza della normativa sollecitata “su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona, (…) necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza”. Ecco, quindi, che la prospettiva di regolamentare il fine vita, nel silenzio del legislatore statale, attraverso l’esercizio della iniziativa legislativa regionale in materia di “tutela della salute” (art. 117, terzo comma, Cost.) è, per le ragioni esposte, passibile di censure sotto il profilo della legittimità costituzionale. In definitiva, l’introduzione di qualsiasi normativa regionale permissiva di pratiche di suicidio assistito, in assenza di una cornice normativa statale di riferimento deputata a delineare quantomeno i principi fondamentali di un settore particolarmente sensibile come è quello in esame, incide sulle prerogative regolatorie dello Stato e si presta a compromettere il complesso equilibrio tra i principi di diritto ricostruiti dalla giurisprudenza costituzionale. Per gli evidenziati profili, la legge regionale in argomento si pone, anzitutto nel suo complesso e nella sua interezza, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost., e al contempo dell’articolo 117, terzo comma, Cost., in quanto impingente: - anzitutto, ed in via assorbente, su titolo competenziale legislativo di esclusiva pertinenza dello Stato; - in via subordinata, su titolo competenziale concorrente, in relazione al quale è necessaria la preventiva determinazione dei principi fondamentali della materia, riservata alla legislazione dello Stato. Entro questa ottica, deve dirsi affetto dalle violazioni costituzionali in discorso, anche singolarmente considerato, l’articolo 1 della legge regionale n. 16/2025. Tale articolo, allorché precisa espressamente che la “finalità” dell’intervento è di disciplinare “le modalità organizzative per l’attuazione di quanto disposto dalle sentenze della Corte costituzionale 25 settembre 2019, n. 242 e 1° luglio 2024, n. 135, relative al suicidio medicalmente assistito”, perviene ad affermare che la legge regionale intende predisporre gli strumenti operativi affinché possa operare una causa di non punibilità penale, in quanto quello – e solo quello – hanno disciplinato le sentenze citate. Ciò, oltre a dimostrare la diretta incidenza della regolamentazione sul piano dell’ordinamento penale, sottratto alla competenza delle regioni, e dunque autonomamente violativo dell’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost., e correlativamente dell’articolo 117, terzo comma, Cost., fa emergere un altro aspetto di rilievo. Quell’intervento, infatti, realizza le condizioni che consentono di ottenere in concreto l’operare di una causa di giustificazione penale solo su una parte del territorio nazionale, dando corpo, quindi, ad una disparità di trattamento tra cittadini che l’ordinamento non può ammettere. *** L'intervento legislativo toscano impatta, altresì, sulla competenza esclusiva in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, (art. 117, secondo comma, lett. m, Cost.). La esclusività della competenza legislativa statale non può essere elusa dal fatto che nella legge in esame la Regione abbia affermato che le prestazioni disciplinate costituiscono un livello di assistenza sanitaria superiore, perché la questione è che, si ribadisce, trattandosi di istituti giuridici che per definizione incidono sul primo dei diritti civili garantito dalla nostra Costituzione, ossia il diritto alla vita (articolo 2), essi non possono che trovare disciplina in una legge dello Stato. E' appena il caso di ricordare, al riguardo, che la Corte Costituzionale non ha affermato l’esistenza di un “diritto” al suicidio, come prestazione garantita dalla legislazione statale, ma ha fissato casi in cui l’aiuto al suicidio debba ritenersi scriminato. Chiarissima, in tal senso, Corte Cost., n. 242/2019: “dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire. Che dal diritto alla vita, garantito dall’art. 2 CEDU, non possa derivare il diritto di rinunciare a vivere, e dunque un vero e proprio diritto a morire, è stato, del resto, da tempo affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio in relazione alla tematica dell’aiuto al suicidio”. Come costantemente ribadito dalla Corte costituzionale, “il legislatore nazionale deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle” (cfr., ex plurimis, Corte cost. nn. 282/2002, 353/2003, 338/2003, 134/2006, 115/2012, 231/2017, 72/2020, 91/2020). Peraltro, anche la recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 135/2024 ogni qualvolta considera un intervento legislativo si rivolge solo e soltanto al Legislatore nazionale. Ad es: al par. 7.2 si ritiene essere «compito del legislatore» la individuazione «del» (al singolare) «punto di equilibrio» fra autodeterminazione e tutela della vita», poi richiamando la CEDU che afferma come tale possibilità «spetta agli Stati» (non alle regioni); al par. 9, si rimane in attesa di un «organico intervento del legislatore», che non può che avvenire con norma nazionale; al par. 10 si auspica una sola «disciplina» di attuazione dei principi di cui alle sentenze 242/19 e 135/24; e al par. 6.1 ci si riferisce direttamente al «legislatore penale» che è, lapalissianamente, sempre e solo nazionale. Pertanto, non è dato alle Regioni modificare, limitare o condizionare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto alla vita previsti dalla legislazione statale e, segnatamente, regolare casi e procedure in cui del diritto alla vita si dispone. E' quindi erroneo lo stesso presupposto di fondo della legge regionale toscana, di presentarsi come erogazione di prestazioni superiori rispetto ai livelli essenziali previsti da legge statale. Ma anche a voler per ipotesi ragionare nella (erronea) prospettiva della legge regionale toscana, va ricordato che, quand’anche per ipotesi volesse considerarsi come “prestazione” concernente i diritti civili, non sussisterebbe nella specie il presupposto per emettere una normativa regionale superiore rispetto ai livelli fissati da legge statale. Ciò semplicemente in quanto il legislatore statale non ha fissato alcun livello minimo di prestazione da garantire, e ciò preclude alla Regione di disporlo autonomamente per il contrasto che viene a determinarsi con le esigenze di indispensabile omogeneità a livello nazionale della disciplina in materia di fine vita. Con riguardo a questi aspetti, peraltro, non si può neppure sostenere che la necessaria “legislazione dello Stato” sia rinvenibile nelle pronunce della Corte costituzionale n. 242 del 2019 e n. 135 del 2024. Ciò, a tacer d’altro, perché la dichiarazione di incostituzionalità (e la successiva estensione interpretativa) è stata resa esclusivamente rispetto ad una norma penale che punisce l’agevolazione del suicidio e ha comportato esclusivamente la previsione di una causa di non punibilità rispetto a quel reato. Un ambito precisamente circoscritto dell’ordinamento giuridico e diverso dalla fissazione di una legislazione in materia di livelli essenziali di prestazioni attinenti i diritti civili e sociali. A quelle decisioni, quindi, non dovrebbe essere attribuita una portata che non è loro propria e che esse hanno anzi espressamente escluso e tale, addirittura, da poter sostituire una “legislazione dello Stato” che disciplini positivamente l’istituto del “suicidio” o, anche solo, che stabilisca i “principi fondamentali” rispetto alla gestione di quell’istituto nell’ambito della “tutela della salute”. Tanto questo è vero che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 242 del 2019, riteneva di “ribadire con vigore l’auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, conformemente ai principi precedentemente enunciati”. In altri termini, la Corte con quella pronuncia non ha introdotto nell’ordinamento l’istituto giuridico del “diritto al suicidio assistito”, disciplinandone tutti gli aspetti che sono connessi alla sua introduzione nell’ordinamento “civile e penale”, anche perché non era quella la questione che le era sottoposta: ha solo escluso la punibilità di un soggetto che abbia prestato assistenza o aiuto ad un altro individuo, quando questi, in determinate condizioni, avesse deciso di porre fine alla sua vita. In questo quadro si pone, dunque, il quesito relativo alla possibilità che quegli interventi strutturali e organizzativi (necessari affinché il servizio sanitario possa svolgere le attività accertative, le sole che sono state individuate dalla Corte costituzionale) possano essere effettuati con legge regionale. Al quesito deve essere data risposta negativa, perché si vede bene come tutte quelle determinazioni implichino scelte tutt’altro che meramente organizzative, bensì tali da incidere direttamente sul diritto alla vita e sull’ordinamento civile e penale. Per questo, tali scelte non possono che essere attribuite al legislatore statale. È opportuno rilevare, infine, che non sarebbe invocabile - a favore di una disciplina regionale del fine vita – l’applicazione del principio di “cedevolezza invertita” (Corte cost., sent. n. 398 del 2006), a fronte dell’inerzia del legislatore statale. Ciò in quanto - com’è noto - la cedevolezza normativa può essere prevista dalla Regione in materie di propria competenza legislativa, “senza però che la previsione della clausola consenta alle Regioni di intervenire in ordine a profili che attengano alla competenza esclusiva del legislatore statale” (Corte cost., sent. n. 1 del 2019): profili che nella materia in esame - come rilevato in precedenza - certamente sussistono. Né il carattere asseritamente temporaneo della normativa regionale si presta in alcun modo a incidere sulle considerazioni sopra svolte. D’altro canto, la non necessarietà di una legge regionale per rendere immediatamente operativi i precetti fissati dalle decisioni della Corte Costituzionale è inequivocabilmente confermata dal fatto che già in alcuni casi tali precetti abbiano ricevuto applicazione, valendo a scriminare casi di aiuto al suicido realizzati dopo il 2019 nella ricorrenza dei presupposti indicati dalle sentenze stesse, garantendosi così piena applicazione dei loro principi. Appare quindi evidente la finalità della legge regionale di andare oltre a quanto richiesto dalla Corte costituzionale, invadendo un campo che – per le ragioni esposte – rientra nell’esclusiva competenza dello Stato. Per gli evidenziati profili, la legge regionale in argomento si pone, anzitutto nel suo complesso e nella sua interezza, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost., in quanto impingente su titolo competenziale legislativo di esclusiva pertinenza dello Stato. Entro questa ottica, devono dirsi affetti dalle violazioni costituzionali in discorso, anche singolarmente considerati, sia l’articolo 2 della legge regionale n. 16/2024, allorché istituisce le “procedure relative al suicidio medicalmente assistito le persone in possesso dei requisiti indicati dalle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024”, sia l’articolo 7, comma 2, allorché precisa che “le prestazioni e i trattamenti disciplinati dalla presente legge costituiscono un livello di assistenza sanitaria superiore rispetto ai livelli essenziali di assistenza”. Vale al riguardo considerare che di livello di assistenza superiore può legittimamente parlarsi solo se il legislatore statale abbia già definito i livelli essenziali di assistenza uniformi sul territorio nazionale. *** Anche alcune singole previsioni della legge regionale n. 16/2025 mostrano ulteriori profili di illegittimità costituzionale. *** All’articolo 3, la legge regionale istituisce una Commissione (la “Commissione multidisciplinare permanente”), attribuendole compiti e funzioni relative a diritti e pretese attivabili nei confronti del S.S.N. non previsti (essendosi la Corte costituzionale limitata a rendere legittima, a certe condizioni, una condotta penalmente rilevante), e comunque non ancora disciplinati da alcuna disposizione di legge statale. Tali compiti e funzioni sono destinati a sovrapporsi con le competenze indiscutibilmente riservate dalla legge statale ai comitati di cui ai decreti ministeriali Salute del 26 e 30 gennaio 2023. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 242/2019, ha individuato nei comitati etici territorialmente competenti “l’organo collegiale terzo, munito delle adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità”. Ha rilevato la Corte che “tali comitati - quali organismi di consultazione e di riferimento per i problemi di natura etica che possano presentarsi nella pratica sanitaria - sono, infatti, investiti di funzioni consultive intese a garantire la tutela dei diritti e dei valori della persona in confronto alle sperimentazioni cliniche di medicinali o, amplius, all’uso di questi ultimi e dei dispositivi medici (art. 12, comma 10, lettera c, del D.L. n. 158 del 2012; art. 1 del D.M. della salute 8 febbraio 2013, recante «Criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici»): funzioni che involgono specificamente la salvaguardia di soggetti vulnerabili e che si estendono anche al cosiddetto uso compassionevole di medicinali nei confronti di pazienti affetti da patologie per le quali non siano disponibili valide alternative terapeutiche (artt. 1 e 4 del decreto del Ministro della salute 7 settembre 2017, recante «Disciplina dell'uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica»)”. In altri termini la Corte, sempre ribadendo che l’intervento del legislatore statale appare imprescindibile e non surrogabile a livello regionale, ha chiaramente individuato quali siano i comitati etici che possono esprimere il parere sulle condizioni di pazienti affetti da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche. I “comitati etici” ai quali la Corte ha fatto riferimento sono quelli previsti dall’articolo 12, comma 10, del D.L. n. 158/2012 (convertito con Legge n. 189/2012) che sono stati, in prima battuta disciplinati, nei requisiti minimi, per assicurare uniformità di composizione e funzioni sul territorio nazionale, con il D.M. Salute dell’8 febbraio 2013. L’articolo 1, comma 2, del predetto D.M. stabiliva che “ove non già attribuita a specifici organismi, i comitati etici possono svolgere anche funzioni consultive in relazione a questioni etiche connesse con le attività scientifiche e assistenziali, allo scopo di proteggere e promuovere i valori della persona. I comitati etici, inoltre, possono proporre iniziative di formazione di operatori sanitari relativamente a temi in materia di bioetica”. Successivamente, è intervenuto un nuovo provvedimento legislativo (la Legge n. 3/2018, recante “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute”), con l’obiettivo, tra gli altri, di razionalizzare e ridurre i Comitati etici. Solo con i successivi decreti del Ministero della Salute del gennaio 2023 è stata data attuazione alla disposizione normativa. In particolare, con il D.M. del 26 gennaio 2023 sono stati individuati i quaranta comitati etici territoriali da mantenere in funzione, e con il D.M. 30 gennaio 2023 sono stati definiti i criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici territoriali. I comitati etici ridisegnati, sulla base – oltretutto - dell’intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni, sono proprio quelli ai quali ha fatto riferimento la Corte costituzionale come unici organismi competenti a rendere, le eventuali valutazioni dalla stessa Corte indicate. In altri termini, solo i comitati tecnici territoriali, regolati in maniera uniforme sul territorio nazionale e competenti, in via esclusiva, alla valutazione off label per fini compassionevoli di farmaci, possono essere interpellati per rendere eventuali pareri che saranno poi rilevanti al fine di considerare non punibile, a fini penali, la condotta di chi asseconda la scelta di un paziente versante nelle condizioni individuate dalla Corte costituzionale. La neoistituita Commissione non è uno dei comitati etici individuati nell’elenco allegato al D.M. Salute del 30 gennaio 2023, e non è neppure un comitato che possa ritenersi rientrante nella previsione di cui all’articolo 1, comma 4, del D.M. Salute del 26 gennaio 2023. Non può dunque rimettersi la valutazione prevista dalla Corte ai fini della scriminante della responsabilità penale a organismi di volta in volta creati, con regole autonome, da ciascuna regione. E lo stesso deve dirsi con riguardo alle funzioni ed ai compiti assegnati ai comitati per l’etica nella clinica operanti presso le singole ASL, e di cui a precedente legge regionale n. 40/2005 (cfr. articolo 4, comma 3; articolo 5, comma 4; articolo 6, comma 5). Tutte le norme regionali sopra indicate confliggono, per le ragioni più sopra esplicate, con l’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost.. Esse, d’altra parte, si pongono anche in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost., in uno con i parametri legislativi statali interposti di cui all’articolo 1, commi 556, 557 e 558, della legge n. 208/2015 (che disciplina - come noto - le modalità necessariamente condivise tra Stato e Regioni di definizione e di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria) e di cui all’articolo 2 della legge n. 3/2018, il cui comma 7 ha demandato ad apposito decreto del Ministro della salute la individuazione dei comitati etici territoriali poi considerati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242/2019. *** A tanto deve aggiungersi che la Commissione di cui all’articolo 3 della legge regionale n. 16/2025 risulta essere dotata di una composizione particolarmente ampia (7 membri), senza, peraltro, disciplinare se essa si debba esprimere all’unanimità o a maggioranza: profilo decisivo per connotare l’operare concreto dell’istituto perché, se prevalesse una deliberazione a maggioranza, potrebbero essere private di peso competenze, invece, essenziali; al contrario, se si pervenisse ad imporre una deliberazione unanime, verrebbero poste sullo stesso piano competenze assai differenti, di peso diverso. Quest’ultimo aspetto induce ad evidenziare anche come la concreta scelta delle professionalità destinate a comporre la Commissione sia diversa da quella fissata dalla normativa statale. La scelta delle professionalità, come operata, deriva probabilmente dall’improprio cumulo sul medesimo organo sia della competenza a valutare i presupposti di accesso al percorso, sia della competenza a dare corso, dal punto di vista medico, all’esecuzione dell’intervento soppressivo. In generale, peraltro, quel che è decisivo è che la scelta delle professionalità destinate a comporre l’organo preposto alla valutazione dei presupposti non è meramente burocratica od organizzativa. Ancora, è rilevante il modo in cui nella legge regionale si delinea il ruolo del Comitato per l’etica nella clinica (cfr. articolo 4, comma 3; articolo 5, comma 4; articolo 6, comma 5), in quanto, per prima cosa, non è specifica la natura dei pareri di tale Comitato (se facoltativi, vincolanti, o idonei ad imporre, ove contrari, una valutazione rinforzata). Tutti questi elementi, si evidenziano per confermare come quelle scelte asseritamente solo organizzative di un servizio implichino, invece, decisioni di portata generale sul modo in cui si intende connotare concretamente l’istituto giuridico del “suicidio medicalmente assistito”, e che dunque incidono in maniera irrimediabile sulla competenza legislativa esclusiva statale di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost.. Per queste stesse ragioni, risulta confliggente con la competenza esclusiva statale in materia di “ordinamento civile” anche la previsione della legge regionale per cui l’attivazione del procedimento può essere rimessa ad un “delegato” non meglio specificato nelle sue caratteristiche di legittimazione (articolo 4, comma 1), mentre si tratta con certezza di un atto che deve essere personalissimo. Altrettanto vale per la previsione per cui l’istanza da presentare non è disciplinata nel contenuto e nella forma (sempre l’articolo 4, comma 1), sicché per questo aspetto resta incerto anche il rapporto con le forme – assai più precise – che la legge 219 del 2017 detta per l’acquisizione del consenso ad un trattamento sanitario e che sono indicate espressamente come applicabili dalla Corte costituzionale. Ma è dubbio anche il fatto che non sia in alcun modo disciplinata nel suo contenuto e nella sua forma neppure la rilevantissima facoltà (meramente enunciata come tale) dell’interessato di “sospendere o annullare l’erogazione del trattamento” (articolo 7, comma 3). Rispetto ad essa, ad esempio, ben più coerentemente con la natura dell’intervento, si sarebbe dovuto prevedere che, prima di procedere alla sua esecuzione “definitiva”, debba essere positivamente accertato che l’interessato non intende sospenderlo o annullarlo. Tutti questi aspetti valgono a ribadire come si sia in presenza di scelte normative molto più ampie e significative di quel che l’impostazione della legge in esame intende prospettare, e che non trovano soluzione neppure nella citata legge n. 219 del 2017. *** In conclusione, la legge regionale in argomento si pone, nella sua interezza, in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost., perché lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile e penale”, in grado di interferire con i diritti personalissimi, nonché con l’articolo 117, terzo comma, Cost., perché lesiva del riparto di competenze, in riferimento alla materia “tutela della salute” e alla materia della “ricerca scientifica e tecnologica”, di competenza concorrente, sotto il profilo della necessaria fissazione dei principi fondamentali in dette materie da parte della legislazione statale, nonché con l’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost., sotto il profilo della lesione della competenza esclusiva statale in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Sono inoltre, e in ogni caso, da ritenersi incostituzionali anche le seguenti puntuali disposizioni della legge regionale n. 16/2025 pur singolarmente considerate: - articolo 1, per contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. l), e con l’articolo 117, terzo comma, Cost.; - articolo 2, per contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost.; - articolo 3; articolo 4, comma 3; articolo 5, comma 4; articolo 6, comma 5: per contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost., e per contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost., in relazione all’articolo 1, commi 556, 557 e 558, della legge n. 208/2015, ed in relazione all’articolo 2 della legge n. 3/2018, quali norme statali interposte. Per i motivi sopra esposti, la legge va impugnata davanti alla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost.. |