Dettaglio Legge Regionale
Titolo | Disposizioni urgenti per lo svolgimento contestuale, nell’anno 2025, delle elezioni regionali e generali comunali. Modificazioni di leggi regionali in materia di enti locali |
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Regione | Valle Aosta |
Estremi | Legge n. 4 del 03-03-2025 |
Bur | n. 15 del 18-03-2025 |
Settore | Politiche infrastrutturali |
Delibera C.d.M. | 19-05-2025 / Impugnata |
La presente legge dispone lo svolgimento contestuale delle elezioni regionali e comunali nel 2025. Inoltre, introduce alcune modifiche alla legge regionale 7 dicembre 1998, n. 54, “Sistema delle autonomie in Valle d’Aosta”, in materia di divieto di far parte della Giunta ai parenti ed agli affini di terzo grado del sindaco e del vice sindaco, di divieto di nominare assessori tecnici al di fuori del Consiglio comunale, nonché in materia di elezione dei sindaci e vice-sindaci, per quanto concerne i limiti dei mandati in relazione alla popolazione residente nei comuni. Alcune disposizioni eccedono le competenze legislative attribuite alla Provincia autonoma e presentano profili di illegittimità costituzionale. L’articolo 22 della novellata legge regionale n. 54 del 1998, rubricato “Composizione e modalità di nomina della Giunta comunale”, come sostituito dall’articolo 3, comma 1, della legge n. 4 del 2025, al comma 6 stabilisce che “Non possono far parte della Giunta il coniuge, i parenti e gli affini di primo grado del Sindaco e del Vicesindaco”. Tale previsione risulta in contrasto con l’articolo 64, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico sull’ordinamento degli enti locali (TUEL), che fissa il divieto di far parte della giunta ai parenti e affini di terzo grado del sindaco. Il seguente comma 7 del predetto articolo 22, sempre come sostituito dall’articolo 3, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2025, stabilisce che “Non è, in ogni caso, ammessa la nomina di cittadini non facenti parte del Consiglio comunale alla carica di assessore”. Tale previsione risulta in contrasto con l’articolo 47, commi 3 e 4, del TUEL, che consente la nomina di assessori al di fuori del Consiglio comunale fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere. L’articolo 30-bis, rubricato “Durata del mandato del Sindaco, del Vicesindaco e del Consiglio comunale e limitazione dei mandati” della citata legge regionale n. 54 del 1998: al comma 2, primo periodo, come sostituito dall’articolo 3, comma 2, della legge regionale n. 4 del 2025, stabilisce che “Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di Sindaco o quella di Vicesindaco nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente ricandidabile alla medesima carica”; al comma 2-bis, introdotto dall’articolo 3, comma 3, della legge regionale n. 4 del 2025, stabilisce che “Chi ha ricoperto per tre mandati consecutivi la carica di Sindaco o quella di Vicesindaco nei Comuni con popolazione da 5.001 a 15.000 abitanti non è, allo scadere del terzo mandato, immediatamente ricandidabile alla medesima carica. È consentito un quarto mandato consecutivo se uno dei tre mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie”; al comma 2-ter, introdotto dall’articolo 3, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2025, stabilisce che “Chi ha ricoperto per quattro mandati consecutivi la carica di Sindaco o quella di Vicesindaco nei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti non è, allo scadere del quarto mandato, immediatamente ricandidabile alla medesima carica. È consentito un quinto mandato consecutivo se uno dei quattro mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie”. Quest’ultima previsione riarticola la casistica della mancata reiterazione (mediante incandidabilità) del mandato da parte del sindaco di comune minore (con popolazione fino a 5.000 abitanti) rispetto a come è fissata dall’articolo 51, comma 2, del TUEL, il quale non prevede limiti ai mandati dei sindaci dei comuni aventi popolazione compresa entro i 5.000 abitanti: emerge quindi un contrasto con la predetta disposizione del TUEL. In sintesi, quindi, la normativa sopra evidenziata si pone in contrasto, rispettivamente, con le disposizioni degli articoli 64, comma 4, 47, commi 3 e 4, e 51, comma 2, del TUEL, che sono state adottate per gli enti locali delle Regioni ordinarie ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa statale la materia della legislazione elettorale, degli organi di governo e delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. Tali disposizioni legislative, a norma dell’art. 1, comma 2, dello stesso TUEL, al parti del resto di quest’ultimo, “non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione”: orbene, il quadro statutario tracciato dall’articolo 2, primo comma, lett. a), dello Statuto speciale della Valle d’Aosta attribuisce la competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali alla Regione autonoma, ma prevedendo al tempo stesso che ciò avvenga “In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione”. Le disposizioni di cui al citato articolo 51 del TUEL costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale e comunque «principi generali dell’ordinamento» costituzionale: esse costituiscono un limite inderogabile anche per le potestà legislative primarie previste dagli statuti speciali, in quanto poste a presidio: a) della uniformità della disciplina degli organi di governo degli enti locali sull’intero territorio nazionale; b) della democraticità dell’ordinamento degli enti locali sotto il profilo del necessario periodico ricambio della classe dirigente. Infine, il riportato comma 2-ter dell’articolo 30-bis della legge regionale n. 54 del 1998 viola anche gli articoli 3 e 51 della Costituzione, in quanto costituisce una ingiustificabile disparità di trattamento tra i sindaci delle diverse regioni, in assenza di obiettive ragioni di differenziazione dei comuni valdostani rispetto ai comuni del rimanente territorio nazionale. Al riguardo, si richiama la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale (ex multis sentenze n. 143 del 2010 e n. 60 del 2023), la quale ha costantemente ricondotto la disciplina delle elezioni degli enti locali e le relative ineleggibilità e incompatibilità nelle regioni ad autonomia speciale alla competenza statutaria in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni (ex multis sentenze n. 168 del 2018, n. 48 del 2003, n. 230 del 2001, n. 84 del 1997, n. 96 del 1968 e n. 105 del 1957; quanto a quella in tema di ineleggibilità e incompatibilità: sentenze n. 283 del 2010, n. 288 del 2007, n. 189 del 1971 e n. 108 del 1969), chiarendo, altresì, che la potestà legislativa primaria delle regioni ad autonomia speciale deve svolgersi in armonia con la Costituzione e con i principi dell’ordinamento della Repubblica, nonché delle altre disposizioni dello statuto (da ultimo, sentenza n. 143 del 2010). Di modo che l’esercizio del potere legislativo anche da parte delle Regioni a statuto speciale in ambiti, pur ad esse affidati in via primaria, che concernano la ineleggibilità e la incompatibilità alle cariche elettive, incontra necessariamente il limite del rispetto del principio di eguaglianza specificamente sancito in materia dall’articolo 51 Cost. (sentenze n. 60 del 2023 e n. 277 del 2011). La Corte ha, in più occasioni, specificato che le regioni ad autonomia speciale, nel disciplinare la materia elettorale e le cause di ineleggibilità e incompatibilità alle cariche elettive, sia locali sia regionali, debbono rispettare il principio di eguaglianza sancito, quanto al diritto di elettorato passivo, dall’articolo 51, primo comma, della Costituzione, secondo cui tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, precisando che «il riconoscimento di tali limiti non vuol dire disconoscere la potestà legislativa primaria di cui è titolare la Regione, ma significa tutelare il fondamentale diritto di elettorato passivo, trattandosi “di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza” (cfr. ex plurimis sentenza n. 235 del 1988)» (sentenze n. 60 del 2023 e n. 143 del 2010; in termini, sentenze n. 288 del 2007, n. 539 del 1990 e n. 189 del 1971). La Corte, poi, sempre nella citata sentenza n. 60 del 2023, ha specificato che soltanto leggi generali della Repubblica possono limitare diritti politici fondamentali, individuando il punto di equilibrio indefettibile e inderogabile fra il diritto di elettorato e il principio democratico. Una disciplina regionale – sia essa riferibile a Regioni ordinarie o Autonomie speciali – non può alterare questo punto di equilibrio, se non violando gli artt. 2, 3, 48 e 51 Cost. Nell’esprimersi nei medesimi termini con la sentenza n. 143 del 2010, in specifico riferimento alla potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana in tema di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri degli enti locali (prevista dallo Statuto), la Corte costituzionale già aveva sancito che “la disciplina regionale di accesso alle cariche elettive deve essere strettamente conforme ai principi della legislazione statale, a causa dell’esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale discendente dall’identità di interessi che Comuni e Province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, quale che sia la regione di appartenenza”. In tale occasione, la Corte costituzionale aveva precisato che “discipline differenziate sono legittime sul piano costituzionale, solo se trovano ragionevole fondamento in situazioni peculiari idonee a giustificare il trattamento privilegiato riconosciuto dalla disposizione censurate”, tornando a ribadire la già in precedenza evocata possibilità che emerga la “necessità di adattare la disciplina normativa alle particolari esigenze locali” (Corte cost. sent. n. 82 del 1982); allo stesso modo, anche nella citata, più recente sentenza n. 60/2023, ha ribadito ancora che uno scostamento dalla disciplina statale è possibile “in presenza di «particolari situazioni ambientali» (sentenza n. 283 del 2010) o «condizioni peculiari locali» (sentenze n. 143 del 2010 e n. 276 del 1997), o «condizioni locali del tutto peculiari o eccezionali» (sentenza n. 539 del 1990), ossia «in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive» per la regione ad autonomia speciale, «ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale» (sentenza n. 288 del 2007; in termini identici, sentenza n. 108 del 1969), o, ancora, «solo per particolari categorie di soggetti che siano esclusive della Regione» (sentenza n. 189 del 1971)”. Tuttavia, con ogni evidenza, nessuna di queste peculiarità locali, del tutto eccezionalmente legittimanti interventi derogatori rispetto al punto di equilibrio fissato unitariamente dalla normativa statale, è rinvenibile nel caso in esame: non dimensioni demografiche singolarmente contenute, peraltro comuni a tutto il territorio nazionale, non condizioni lato sensu ambientali che richiedano particolari discipline ai fini della selezione di eccentrici requisiti di elettorato (attivo e) passivo per l’accesso alla carica presidenziale in questione. Tenuto conto di quanto finora evidenziato e argomentato, si chiede di impugnare l’articolo 3 della legge regionale n. 4 del 2025, limitatamente al comma 1, che introduce le disposizioni di cui all’articolo 22, commi 6 e 7, della legge regionale n. 54 del 1998, nonché al comma 4 dello stesso articolo 3 della legge regionale n. 4 del 2025, che introduce il comma 2-ter dell’articolo 30-bis della legge regionale n. 54 del 1998; in tutti i casi, per contrasto con l’assetto di limiti e vincoli stabilito la competenza statutaria di cui all’articolo 2, primo comma, lett. a), dello Statuto speciale della Valle d’Aosta, per mancato rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica esplicitati rispettivamente dagli articoli 64, comma 4, 47, commi 3 e 4, del d.lgs n. 267 del 2000 (TUEL) e dal successivo articolo 51, comma 2. Per le disposizioni di cui al citato comma 2-ter dell’articolo 30-bis della medesima legge regionale n. 54 del 1998, introdotto dall’articolo 3, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2025, si ravvisa, altresì, la violazione degli articoli 2, 3, 48 e 51 della Costituzione, posti a tutela dei diritti politici fondamentali in materia di elettorato passivo e attivo per l’elezione alle cariche pubbliche elettive locali. |