Dettaglio Legge Regionale
Titolo | Norme in materia di sanità |
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Regione | Sicilia |
Estremi | Legge n. 23 del 05-06-2025 |
Bur | n. 26 del 13-06-2025 |
Settore | Politiche socio sanitarie e culturali |
Delibera C.d.M. | 04-08-2025 / Impugnata |
La legge della Regione siciliana 5 giugno 2025, n. 23, recante “Norme in materia di sanità”, presenta profili di illegittimità costituzionale con riguardo all’articolo 2, comma 3 in quanto eccede dalle competenze statutarie della Regione siciliana (articolo 17 della legge cost. n.2 del 1948) e, ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento, viola la competenza statale esclusiva in materia di “ordinamento civile” di cui all’art. 117, secondo comma lettera l), Cost., oltre a violare il principio di uguaglianza di cui all’ articolo 3 Cost.,il principio di parità di accesso agli uffici pubblici di cui all’art. 51, primo comma, Cost. ed i principi posti in tema di pubblico concorso dall’art. 97 Cost.. Essa si pone, inoltre, in contrasto con il parametro interposto dell’articolo 35, comma 3, lett. b), del decreto legislativo n. 165 del 2001, dell’articolo 5, comma 1, del d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487, in tema di riserve nei concorsi, nonché delle disposizioni settoriali per l’accesso alle professioni sanitarie. Il suddetto art. 2, comma 3, viola anche i principi fondamentali di cui agli articoli 2, 19 e 21 Cost. dal cui combinato disposto è riconosciuto come diritto di rango costituzionale il diritto all’obiezione di coscienza nonchè ,quale norma interposta, la legge 22 maggio 1978 n. 194. Nello specifico, l’articolo 2, rubricato “Aree funzionali per l’interruzione volontaria di gravidanza” istituisce, nelle aziende sanitarie e ospedaliere del Servizio sanitario regionale, le aree funzionali dedicate all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) – laddove non già presenti- in seno alle Unità operative complesse di ginecologia e ostetricia, demandando all’Assessore regionale per la salute la definizione degli indirizzi relativi al funzionamento e all’organizzazione delle medesime aree. Il comma 3 del citato articolo 2 dispone che «le Aziende sanitarie e ospedaliere, nell'ambito delle ordinarie procedure selettive di reclutamento già previste nei piani triennali dei fabbisogni di personale, dotano le aree funzionali di cui al comma 1 di idoneo personale non obiettore di coscienza. Qualora le Aziende sanitarie e ospedaliere, per effetto della cessazione dei rapporti di lavoro o di successiva obiezione da parte del personale reclutato ai sensi del presente comma, rimangano prive di personale non obiettore, le stesse avviano procedure idonee a reintegrare le aree funzionali del personale non obiettore, nei limiti delle disponibilità delle piante organiche, entro 120 giorni dalla data della presentazione della dichiarazione di obiezione o della cessazione del rapporto di lavoro.». In altri termini, è previsto che le aziende sanitarie e ospedaliere, all’atto di assumere nuovo personale, si assicurino che le aree dedicate all’interruzione volontaria di gravidanza siano dotate di personale non obiettore di coscienza. Si prevedono, dunque, procedure concorsuali dedicate – eventualmente anche in via esclusiva - a medici non obiettori. Sul tema, si segnala la vigente previsione statale di cui all’articolo 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194, che, al fine di garantire l’effettiva attuazione delle norme in materia di interruzione volontaria della gravidanza, prevede l’obbligo, in capo alle strutture ospedaliere, di assicurare l’espletamento degli interventi interruttivi richiesti secondo le modalità ivi stabilite. Al fine, in un’ottica di perdurante funzionalità degli enti sanitari preposti, la medesima disposizione di legge demanda alla Regione il controllo sull’attuazione delle relative previsioni, “anche attraverso la mobilità del personale”. Tanto premesso, si evidenzia che, in materia di procedure concorsuali per l’accesso ai pubblici impieghi, la Corte costituzionale ha conservato nel tempo un solido orientamento a tutela del concorso, quale strumento prioritario di ingresso nella pubblica amministrazione, equo, trasparente, efficace, e basato sul merito. In ragione del carattere immutato di siffatto orientamento, la Consulta ha avuto occasione, nel corso degli anni, di fissare i seguenti principi in materia di procedure “riservate”: le restrizioni dei soggetti legittimati a partecipare al concorso possono eccezionalmente considerarsi ragionevoli in presenza di “particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell’amministrazione” (tra le altre, sentenza 5 aprile 2022, n. 89, e sentenza 23 luglio 2002, n. 373); una forma di concorso “riservato” costituisce un privilegio indebito per i soggetti beneficiari, in violazione dell’art. 97 Cost. e, di conseguenza, degli artt. 3 e 51 Cost. (ex multis, sentenza 23 luglio 2013, n. 227 e sentenza 21 marzo 2012, n. 62). Fermi restando i principi sopra richiamati, la disposizione regionale in oggetto configura un eccesso di competenza, nella misura in cui invade la sfera all’interno della quale allo Stato è attribuito il potere di legiferare in via esclusiva, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. La disposizione regionale, difatti, è idonea a dare luogo a future procedure concorsuali, riservate al personale non obiettore di coscienza, interferendo, in modo costituzionalmente non consentito, sui requisiti di accesso agli impieghi pubblici, in tal modo violando l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina della materia "ordinamento civile", cui appartiene la definizione delle procedure e dei requisiti di accesso alla pubblica amministrazione (si veda, in merito, Corte costituzionale, sentenza 20 dicembre 2022, n. 255). In aggiunta, la norma in esame, proprio nella misura in cui si propone di incidere negativamente sulla possibilità dei soggetti legittimati di partecipare alle procedure concorsuali, pare contrastante, altresì, con il disposto di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione. Se, per un verso, infatti, la prospettata formula concorsuale “riservata” non si ritiene possa soddisfare il principio fondamentale di eguaglianza, nella misura in cui esclude determinate categorie di soggetti per la sola posizione individuale di coscienza, per altro verso, una restrizione della platea dei partecipanti, fondata – come anzidetto - su caratteristiche di tal genere, costituisce, di per sé, una deminutio in termini di buon andamento della pubblica amministrazione, poiché nega la massima partecipazione e preclude, di conseguenza, una selezione ottimale delle risorse umane. Peraltro, “l’obiezione di coscienza” o “la non obiezione di coscienza” sono categorie etiche, che, come tali, oltre a non poter essere oggetto di qualificazione oggettiva, possono mutare nel tempo (in relazione alla formazione individuale, spirituale ed esperienziale dell’individuo), come meglio si vedrà in seguito, In ogni caso, proprio perché appartengono alla categoria della morale, individuarli quali requisiti per l’accesso al pubblico impiego sarebbe – oltreché tecnicamente un’operazione affetta da mancanza di oggettività - discriminatorio. Una procedura concorsuale integralmente riservata – come, potenzialmente, nel caso di specie - è idonea, infatti, a generare una discriminazione diretta tra gli aspiranti partecipanti, fondata su una caratteristica personale di natura etico-morale che non attiene né alle competenze professionali né al merito, nonché ingiustificata, alla luce anche della facoltà espressamente riconosciuta alle strutture sanitarie di fare ricorso, per l’espletamento degli interventi interruttivi della gravidanza, a procedure di mobilità del personale (articolo 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194). Nel dettaglio, ancorché la disciplina regionale non preveda espressamente una procedura selettiva riservata ai soli obiettori, una tale riserva risulta indirettamente dalla circostanza che la procedura è avviata per la sola selezione di personale da dedicare al servizio di interruzione volontaria della gravidanza (sub .specie “di idoneo personale non obiettore di coscienza”) e, per ciò stesso, potrebbe recare un vulnus alla libertà di accedere al concorso da parte di chi ritenga tale pratica inconciliabile con le ragioni della propria coscienza, risolvendosi in un'esclusione discriminatoria dei candidati obiettori. Per l’effetto, la riserva potenzialmente integrale prevista dalla legge regionale in esame si pone in contrasto con il parametro interposto dell’articolo 35, comma 3, lett. b), del decreto legislativo n. 165 del 2001,1 dell’articolo 5, comma 1, del d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487, in tema di riserve nei concorsi, nonché delle disposizioni settoriali per l’accesso alle professioni sanitarie. Il dettato normativo nazionale di riferimento, è bene evidenziarlo, non impone alle regioni di garantire la presenza nei ruoli sanitari, di personale “non obiettore”, ma l’obbligo “di assicurare l’espletamento degli interventi interruttivi richiesti”. Tale obbligo, dunque, può essere assolto anche attraverso diverse forme di rapporto con la pubblica amministrazione, che vanno dalla mobilità temporanea, all’utilizzo di forme di lavoro flessibile. Sotto altro ma connesso profilo, la norma regionale non risulta, invero, coerente con le disposizioni della legge 22 maggio 1978 n. 194, recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, che riconosce il diritto all'obiezione di coscienza per il personale sanitario che può, comunque, essere revocato in qualsiasi momento. In tale prospettiva, la segnalata disciplina regionale risulta lesiva del diritto all'obiezione di coscienza, riconosciuto come diritto di rango costituzionale, il cui fondamento venne individuato dalla Corte costituzionale — a far data dalla nota sentenza 467 del 1991 — nel diritto di libertà di coscienza, che trova positivo ancoraggio nel combinato disposto degli artt. 2, 19 e 21 Cost.. Ne consegue che, alla luce del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., del principio di parità di accesso agli uffici pubblici di cui all'art. 51, primo comma, Cost. e dei principi posti in tema di pubblico concorso dall’art. 97 Cost, la disciplina regionale introduce de facto un requisito speciale e attitudinale per l’ammissione al pubblico impiego, tale da risolversi in una restrizione dell’accesso. Né tale restrizione trova la propria fonte giustificatrice in una norma di legge statale che solo potrebbe giustificare le limitazioni de quibus purché ricollegabili a esigenze obiettive e comunque volte a escludere trattamenti differenziati (in questi termini anche Tar Liguria, sentenza 3 luglio 1980, n. 396) A tal proposito non si trascura di considerare l'evidente esigenza di una corretta ponderazione tra i due diritti di rango costituzionale: il diritto alla salute psicofisica della donna, rispetto alla quale la richiesta di interruzione di gravidanza si pone in chiave strumentale, e il diritto del personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie a porre in essere l'obiezione di coscienza nei confronti delle attività specificamente necessariamente abortive. Tuttavia, non v’è chi non veda come la ricerca di un tale delicato punto di equilibrio spetti in via esclusiva al legislatore statale in quanto in grado di compiere una valutazione globale e omnicomprensiva dei molteplici valori costituzionali incisi e, quindi, in grado di assicurare l'effettività e la continuità del servizio esame in termini uniformi sull'intero territorio nazionale. Infine, si segnala che il ricorso a procedure selettive come quelle delineate dalla legge in esame non è comunque risolutivo, data l'evidente impossibilità di privare il personale, pur se assunto nei ruoli per non obiettori, del diritto di sollevare successivamente obiezione di coscienza appellandosi all'articolo 9 della legge 22 maggio 1978 n. 194. Infatti, l'articolo 9, comma 2, della suddetta legge prevede che l'obiezione possa essere dichiarata in ogni momento pur se con efficacia temporale differita, e dunque non è escludibile che coloro che risulteranno vincitori della selezione pubblica in esame possano dichiararsi obiettori in un momento successivo all'assunzione. Ne deriva che alcun contratto di lavoro potrebbe impedire al medico di manifestare l'obiezione di coscienza; né l'obiezione sopravvenuta potrebbe comportare il licenziamento automatico del medico stesso. In conclusione, l’articolo 2, comma 3, della legge della Regione Siciliana, eccedendo dalle competenze statutarie della Regione siciliana (articolo 17 legge cost. n.2 del 1948) e, ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento, viola la competenza statale esclusiva in materia di “ordinamento civile” di cui all’art. 117, secondo comma lettera l), Cost., oltre a violare il principio di uguaglianza di cui all’ articolo 3 Cost.,il principio di parità di accesso agli uffici pubblici di cui all’art. 51, primo comma, Cost. ed i principi posti in tema di pubblico concorso dall’art. 97 Cost. nonchè il parametro interposto dell’articolo 35, comma 3, lett. b), del decreto legislativo n. 165 del 2001, dell’articolo 5, comma 1, del d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487, in tema di riserve nei concorsi, del nonché delle disposizioni settoriali per l’accesso alle professioni sanitarie. Il suddetto art. 2, comma 3, viola inoltre i principi fondamentali di cui agli articoli 2, 19 e 21 cost. dal cui combinato disposto è riconosciuto come diritto di rango costituzionale il diritto all’obiezione di coscienza, nonchè, quale norma interposta, la legge 22 maggio 1978, n. 194. Per tali motivi l’art. 2, comma 3 della legge in esame deve essere impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 della Costituzione. |